Cosa significa artroscopia?
La parola è composta da artro (articolazione) e scopia (dal gr. -skopía, der. di skopéō ‘osservo’). E’ quindi una procedura chirurgica dove si visualizza un’articolazione per mezzo di uno strumento chiamato artroscopio, attraverso una piccola incisione.
Storicamente la prima artroscopia diagnostica di ginocchio avvenne nel 1912, da parte di un chirurgo danese, Severin Nordentof.
Sei anni dopo, nel 1918, in Giappone (Tokyo), Kenji Takagi visualizzò il ginocchio di un cadavere utilizzando un cistoscopio (cioè uno strumento adatto a visualizzare l’interno della vescica).
Takagi continuò nello sviluppo della chirurgia artroscopia fino a che la Seconda Guerra Mondiale bloccò i suoi studi.
Ma è un suo studente, Masaki Watanabe, che può essere considerato il padre dell’artroscopia. Fino ad allora l’artroscopia serviva solo per per osservare l’interno del ginocchio, ma non si erano mai trattate le patologie riscontrate se non con la chirurgia aperta. Il 4 maggio 1962 effettuò il primo intervento la prima meniscectomia artroscopia su un ragazzo di 17 anni che si era infortunato al ginocchio giocando a pallacanestro. Il paziente fu dimesso il giorno stesso e dopo 6 settimane tornò a girare a pallacanestro.
Il ginocchio, come tutte le articolazioni, può essere considerata una scatola chiusa, una stanza. Al suo interno vi sono le parti i capi articolari rivestiti di cartilagine ialina (di femore, rotula e tibia), i menischi (mediale e laterale), i legamenti crociati (anteriore e posteriore), il tutto racchiuso dalla capsula che è rivestita dalla membrana sinoviale.
Per vedere il contenuto della “stanza” possiamo decidere se aprire la porta o spiare dalla serratura.
Calato nella realtà chirurgica possiamo decidere se guardare dentro eseguendo un’incisione chirurgica ampia che ci consenta di vedere all’interno aprendo interamente l’articolazione, oppure di usare una telecamera che con un’incisione di pochi millimetri ci porta all’interno dell’articolazione.
Oltre all’ovvio vantaggio di evitare ampie cicatrici, quindi vantaggi estetici, la minor invasività corrisponde a tempi di ripresa più veloci e meno complicanze quali infezioni e rigidità. Inoltre l’articolazione risulta meglio ispezionatile in quanto l’artroscopio si sposta nei vari punti dell’articolazione, consentendone la visualizzazione sul monitor. L’immagine che otteniamo è un immagine ingrandita, quindi significa osservare le strutture con la “lente di ingrandimento”. La minor invasività consente anche un approccio anestesiologico più leggero: in sedazione e con un’anestesia locale si eseguono la maggior parte degli interventi artroscopici.
La tecnica artroscopia oltre a permettere la diagnosi per visione diretta, consente di intervenire su patologie meniscali, cartilaginee, sinoviali. E’ una assistenza indispensabile nelle ricostruzioni legamentose dei legamenti crociati, nei riallineamenti femororotulei, consente la rimozione di corpi liberi endoarticolari permettendo la visualizzazione di punti altrimenti difficilmente raggiungibili dell’articolazione.
Qui sotto un esempio di rottura del corno anteriore del menisco laterale. Alla palpazione (foto in alto a sx) si vede come il frammento è instabile in una zona cosiddetta bianca-bianca, cioè non saturabile perché priva di capacità di cicatrizzazione. Con strumenti motorizzati e manuali si provvede all’asportazione del frammento ed alla regolarizzazione del residuo fino ad ottenere una porzione meniscale sana e stabile.
Esempio di sutura meniscale: in alcuni casi ed in pazienti selezionati si può affrontare un intervento di sutura meniscale.